Onorevoli Colleghi! - Non vi è dubbio che la comunità nazionale sia stata profondamente interessata in questi ultimi anni dai problemi legati all'immigrazione e in particolare a quella clandestina.
      Più volte, nel passato, si è proceduto a determinare e a normare modi e metodi di controllo per questo fenomeno che interessa centinaia di migliaia di persone ogni anno.
      Anche nella XIV legislatura si è provveduto ad integrare e modificare il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che reca la disciplina dell'immigrazione, oltre a dettare norme sulla condizione degli stranieri in Italia.
      I provvedimenti in questione - meglio noti come provvedimenti «Fini-Bossi» - sono intervenuti principalmente con l'obiettivo di collegare direttamente l'immigrato a un posto di lavoro, dandogli diritti e doveri e tendendo a farlo inserire il più presto possibile nella nostra società.
      Nell'applicazione di queste norme sono peraltro emersi alcuni problemi specifici che si vogliono affrontare con la presente proposta di legge, al fine di rendere le normative in vigore il più possibile aderenti alle effettive necessità sia degli immigrati che della comunità nazionale.
      In particolare, viene affrontato il problema delle «quote» ovvero del numero delle persone autorizzate ogni anno a intraprendere in Italia una attività lavorativa.
      Negli anni scorsi le richieste di lavoro sono risultate sempre molto superiori ai posti disponibili ed è nato il problema di determinare criteri per la scelta di chi debba essere ammesso al permesso di soggiorno.

 

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      Fino ad ora si è optato per il criterio dell'ordine di presentazione delle richieste presso gli uffici postali, presentazione ammessa dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento che fissa le quote annuali.
      Davanti al grande numero di domande presentate, però, si verificano sempre più spesso grosse difficoltà di applicazione.
      Innanzitutto, nella prima giornata utile moltissime aziende presentano le proprie richieste e vengono esauriti tutti i posti disponibili, spesso nelle prime ore e addirittura - in molti casi - in pochissimi minuti.
      Poiché fanno fede la data e l'orario di partenza della raccomandata postale, si scatenano facilmente situazioni di massa tese alla «conquista» del posto in coda, che creano non solo problemi di ordine pubblico, ma anche vere e proprie ingiustizie.
      Basti pensare che il destino di intere famiglie finisce per dipendere dalla solerzia degli impiegati postali che - a seconda di quanto tempo impiegano per spedire lettere raccomandate - riescono a permettere a più o meno persone di presentare la propria domanda nei primissimi minuti di apertura degli sportelli. Si pensi a due uffici postali nella stessa provincia: chi era in coda da ore può aver avuto la fortuna di spedire la domanda prima di un'altra persona, magari in fila da più tempo, ma in un ufficio postale dove si procede più lentamente. Questa seconda persona sarà infatti esclusa perché - a livello provinciale - avrà presentato la propria istanza «dopo» l'altra.
      Ciò sta costituendo una situazione assurda, dove non contano più le qualità delle persone che chiedono di lavorare in Italia, ma solo l'attimo di presentazione rispetto a migliaia di altre persone che magari «timbrano», appunto, pochi minuti dopo.
      L'articolo 1 del testo qui proposto detta invece regole diverse: viene previsto un periodo di tempo di diversi giorni - e comunque già precedentemente fissato e conosciuto - durante il quale tutti pos- sono presentare le domande e cui fa seguito un esame «per titoli» dei candidati, nel quale sono considerati altri elementi oltre al momento temporale della presentazione dei moduli.
      Abbiamo tutti da guadagnare affinché in Italia giungano persone che - ad esempio - vi siano già state o vi abbiano lavorato e non solo in campo agricolo, oppure - aspetto ancora più importante - che parlino italiano o che abbiano frequentato scuole professionali propedeutiche al posto di lavoro che viene offerto.
      Ecco perché, all'articolo 2, per l'esame delle domande sono indicati criteri di merito che permetterebbero l'arrivo in Italia di persone più qualificate o già in contatto con le nostre realtà, consentendo così una scelta anche qualitativa dei candidati.
      Un altro aspetto particolare è quello delle cosiddette «badanti» ovvero di quelle persone (di solito di sesso femminile e provenienti da aree ben determinate) che assistono anziani o malati a domicilio, inserendosi in famiglia e in gran parte fornendo un aiuto insostituibile a persone in difficoltà.
      È questa una vera e propria «emergenza sociale», tenuto conto degli aspetti sociali e delle difficoltà di ricovero di anziani e di malati in strutture di cura. Anche la qualità della vita di queste persone è importante e il rimanere al proprio domicilio anziché essere ospitati in ospizi e in ricoveri comporta una grande risparmio economico.
      La necessità di una assistenza è una situazione che spesso si sviluppa in modo improvviso e non predeterminabile, ma a quel punto la ricerca di una «badante» è difficile perché è impossibile chiedere l'arrivo in Italia di una persona comunque conosciuta o di gradimento alla famiglia ospite.
      Si sviluppa così un mercato clandestino (molto diffuso e peraltro a volte anche tollerato, davanti alle obiettive necessità) che invece non avrebbe motivo di essere se per tutto l'anno - a determinate
 

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condizioni - fosse possibile instaurare un rapporto di lavoro dipendente con queste persone.
      Quello che conta è piuttosto il controllo su queste tematiche al fine di evitare l'ingresso in Italia di persone per motivi che poi si dimostrano ben diversi (si pensi al mondo della prostituzione). Questo può avvenire solo (come normato all'articolo 3) con un coinvolgimento dei datori di lavoro e previa dimostrazione di titoli professionali adeguati.
      Ecco perché le norme proposte appaiono significative e importanti per una migliore applicazione delle disposizioni in vigore.
 

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